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Governo Draghi, silenzio sulle pensioni ma la riforma parte dallo stop a quota 100

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È stata la grande assente dal programma su cui Mario Draghi ha chiesto la fiducia alle Camere per il suo nuovo governo. Forse anche perché nella vasta e variegata maggioranza che sostiene l’esecutivo le scuole di pensiero sulla previdenza sono, in alcuni casi, molto distanti tra loro. Ma la riforma delle pensioni non sarà solo un convitato di pietra dei tavoli tecnici e politici su cui si giocherà la partita dell’uscita dalla crisi e della “ricostruzione” del Paese che il presidente del Consiglio ha fissato come obiettivo prioritario, insieme all’accelerazione e al rafforzamento del piano-vaccini, nella road-map tracciata per i prossimi mesi.

Nell’agenda del premier è infatti già segnata in bella evidenza una scadenza che non potrà essere aggirata: è quella del 31 dicembre 2021, quando si esaurirà la sperimentazione triennale di Quota 100. E per evitare che il temuto “scalone” si trasformi in un trappola, per i lavoratori ma anche per il governo, Draghi sa bene che dovranno essere adottate per tempo le necessarie contromisure. Non a caso nel giro di consultazioni che lo hanno poi portato a sciogliere la riserva il premier avrebbe indicato una tappa sicura nella rotta da seguire: lo stop a Quota 100, come ha rivelato nei giorni scorsi il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Riccardo Molinari.

La possibilità di ricorrere a proroghe, anche in versione ”mini”, dunque, è stata già sgomberata dal campo. E da questo punto fermo dovrà ripartire il confronto sulla previdenza chiesto a gran voce dai sindacati nella prima presa di contatto con il neo-ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Resta da capire se il governo avrà il sostegno della maggioranza per tentare di imboccare la strada di una vera riforma strutturale, da amalgamare alla legge Fornero, con l’obiettivo di garantire solidità e sostenibilità anche nel medio periodo al sistema pensionistico, rispondendo alle sollecitazioni dell’Europa, alle quali Draghi guarda con attenzione. In caso contrario l’unica soluzione praticabile diventerebbe quella di agire su soglie di pensionamento e coefficienti di trasformazione, rimanendo nel solco ”contributivo”, per addolcire il più possibile l’impatto del ritorno secco dai pensionamenti agevolati voluti dal “Conte 1” allo schema della legge del 2011.

Ci sarebbe anche una terza via, quella di collocare l’intervento sulla previdenza all’interno della costruzione di un nuovo Welfare emersa dal discorso alle Camere del premier, che in uno dei passaggi chiave ha voluto ricordare come l’avvento della pandemia abbia contribuito a ridurre sensibilmente la speranza di vita. In questo caso potrebbe addirittura prendere corpo l’ipotesi di un intervento di sistema, con l’obiettivo di produrre un ”Testo unico” sulle pensioni che riguardi sia il primo pilastro, con l’introduzione anche di una pensione di garanzia per chi, nel contributivo puro, non potrà più contare su integrazioni al minimo, sia il secondo pilastro, con un adeguamento di tanti aspetti (a partire dai trattamenti fiscali) che non hanno finora consentito un vero decollo della previdenza complementare.

In questa prospettiva gli interventi potrebbero spaziare su tanti aspetti contemporaneamente: dall’indicizzazione delle pensioni al nodo dei coefficienti di trasformazione da aggiornare, dalle nuove flessibilità in uscita sostenibili all’introduzione di opzioni di part-time e part-pension in grado di rendere più concreti gli obiettivi di allungamento della vita attiva. In aprile, tra l’altro, si chiude la pubblica consultazione lanciata dalla Commissione europea sul Libro verde dedicato all’invecchiamento demografico. I risultati della consultazione aiuteranno Bruxelles a dare indicazioni a tutti gli Stati dell’Unione sulle politiche di sostenibilità più adeguate. E il governo Draghi sarà molto attento a quelle indicazioni.

Fonte: Il sole 24 ore Rogari/Colombo

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